La proposta di approvazione del jobs act renziano in
Italia, salutata da tutti (i capitalisti) come un trionfo di modernità
nell’equità, lascia in realtà molti dubbi circa la reale equità
del provvedimento legislativo. Non sto riproponendo i “paletti” pro
classe operaia nati ai tempi del partito comunista in difesa del “posto fisso”. Ho già chiarito in un recente articolo che
non è compito dell’impresa garantire il posto di lavoro ai lavoratori
ma è compito dello Stato (che lo può fare in vari modi ma finora li ha
sbagliati praticamente tutti, perché ha privilegiato gli interessi dei
politici a entrambi gli interessi, delle imprese e dei lavoratori).
Però prima di liberalizzare le regole e i diritti dei lavoratori
bisogna almeno vedere cosa succede nei paesi (come gli Stati Uniti) dove
lo Statuto dei Lavoratori (che contiene l’art. 18) non è mai esistito e dove i sindacati hanno perso ormai quasi completamente la loro rappresentatività e forza.
Nel caso che illustrerò tra poco non ci sono discriminazioni e art. 18 da discutere, ma c’è un evidente abuso aziendale e sfruttamento sui lavoratori interessati.
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Considerando anche il fatto che Amazon non paga le tasse nel luogo dove vende i prodotti. Ma questo è anche legittimato vista l'assenza di servizi corrispondenti all'elevata tassazione italiana. Ma questo dovrebbe riguardare i cittadini oberati dalle stesse, non aziende plurimilionarie.
Inoltre aziende come questa stanno distruggendo la piccola editoria, aggiungendosi al danno apportato delle potenze editoriali Mondadori e Feltrinelli.
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